domenica 4 luglio 2010
Replica alla lettera aperta ai colleghi giornalisti
di Manuela Lasagna, Marco Dedola*
Credo che porsi domande su come i giornalisti hanno “trattato” la notizia – e sottolineo “la notizia” – della presenza di Patrizia D’Addario alla manifestazione di Piazza Navona, come fa nella sua lettera aperta Debora Aru, sia non soltanto giusto, ma anche utile per la professione. E a ben vedere la “notizia” è forse proprio la brutalità con cui la D’Addario è stata trattata da quelli che si definiscono i paladini della libertà di stampa. Dimentichi persino del fatto che è stata proprio la sua testimonianza e oserei dire il suo coraggio a consentire di scoperchiare un sistema.
Anch’io sono rimasta sconcertata da quello che ho visto in piazza, e non dal fatto che i colleghi si affollassero intorno alla D’Addario (una notizia è pur sempre una notizia) ma dalla reazione di chi, essendo in piazza a manifestare per la libertà di pensiero, di intercettazione e di stampa, ha pensato che la D’Addario fosse venuta lì a rubargli la scena e proprio come quelle comari del paesino a cui avevano sottratto l’osso ha reagito in modo scomposto e francamente illiberale.
Una brutta pagina davvero, su cui tutti dovremmo riflettere.
Essendo stata però tirata in ballo come esempio-limite di cattivo giornalismo per aver “addirittura tentato di intervistare la brillante biondina in diretta”, con tutto il corollario sulla mancanza di deontologia professionale che da tale scelta deriva, ritengo di dover replicare non solo a tutela della mia personale professionalità, ma anche della testata che giovedì in piazza ero chiamata a rappresentare.
Premesso che la sig.ra D’Addario era presente alla manifestazione non di sua iniziativa, ma su invito del Popolo Viola, ovvero di una delle sigle che hanno organizzato la manifestazione e che la sua vicenda ha ispirato proprio una delle norme più discusse del disegno di legge Alfano (e dunque era perfettamente titolata a esprimere la sua opinione), ho trovato di una gravità inaudita che alcuni colleghi (oltretutto con indosso la maglietta di Articolo21) si siano messi a gridare “vergognatevi” all’indirizzo della sottoscritta, per il solo fatto che stavo per intervistare la D’Addario.
A causa della violenza della “protesta” dei colleghi che in perfetto stile talebano si sono avventati anche fisicamente contro la postazione della nostra telecamera, in quel momento impegnata nella diretta, la signora D’Addario è stata costretta ad allontanarsi, facendo saltare il previsto collegamento.
Alla mia veemente protesta (“questa è censura. Voi mi avete impedito di fare il mio lavoro”), uno dei suddetti colleghi mi ha persino minacciato di sputtanarmi pubblicamente – chiedo scusa per il francesismo - davanti a tutta la categoria.
Se la giovane collega ritiene che questo sia un modo legittimo di contestare il lavoro di un altro collega, per giunta a una manifestazione sulla libertà di stampa, beh, non c’è da stupirsi se la democrazia in questo Paese vacilla.
Personalmente diffido di quanti, puristi per convinzione o per convenienza, si ergono a guardiani della rivoluzione, mentre chiudono volentieri un occhio e talvolta anche due sulle tante D’Addario che si nascondono fra le fila della nostra onorata categoria.
Per quanto mi riguarda vorrei essere giudicata per quello che faccio e che ho fatto e non per quello che qualcuno presume che io stessi facendo e non ho fatto.
Certo è davvero curioso che l’unica giornalista ad essere attaccata sia io di Rainews, l’unica testata peraltro che ha dato l’intera manifestazione in diretta. Non l’hanno fatto né Sky né la FNSI. Una diretta arricchita anche dal contributo di almeno una decina di interviste realizzate direttamente dalla piazza, anche a costo di non sentire la mia stessa voce pur di dare il senso della manifestazione dal “di dentro” e non dal lontanissimo trabattello messo a disposizione dalla Rai. Scusate se è poco.
Ma questo agli amici di Articolo21 forse non interessa.
*Manuela Lasagna, inviato
Marco Dedola, capo servizio Interni di Rainews
venerdì 2 luglio 2010
Lettera aperta ai colleghi giornalisti
Cari colleghi giornalisti,
chi vi scrive è una sconosciuta pubblicista che come la maggior parte di noi (professionisti compresi) si sbatte ogni giorno per poter lavorare.
Alla manifestazione contro la legge bavaglio, ho assistito a qualcosa di sconcertante e ho deciso di scrivervi una lettera aperta per rivolgervi un appello.
Quando ieri è arrivata Patrizia D’Addario in piazza Navona la calca di colleghi, operatori e fotografi attorno alla sua persona mi ha lasciato di stucco: tutti concentrati sulla escort bionda che aveva in mano il suo libro. Ora io mi chiedo, e vi chiedo, la sua presenza è una notizia? Lei è una notizia? Chi è la D’Addario? In virtù di quale competenza la D’Addario merita di apparire nei TG che parlano del DDL intercettazioni, quanto o più Ilaria Cucchi o Patrizia Aldrovandi?
C’è stata addirittura Rai news 24 che ha tentato di intervistare la brillante biondina in diretta davanti al palco del No Bavaglio Day. Alcuni giornalisti di Articolo21 hanno gridato «colleghi vergognatevi», perché si intendeva intervistare una persona famosa per aver svelato dei segreti sulla vita sessuale del Presidente del Consiglio. L’intento, secondo l’intervistatrice Rai, era di fare domande sulla cosiddetta legge D’Addario ma, come ha detto la giornalista: «voi mi avete censurato», in quanto qualcuno ha pensato bene di portarsi via la D’Addario senza che potesse rilasciare alcuna dichiarazione.
Per censura si intende il controllo dalla libertà da parte di un’autorità. Cosa c’è di censurante nel contestare l’operato di un collega?
Colleghi, io vi chiedo, questo è giornalismo? La prima cosa che mi è stata insegnata quando ho iniziato a imparare a fare questo mestiere è che il giornalista sceglie fra i fatti quello che è notizia per l’interesse della collettività. Noi siamo professionisti perché abbiamo una preparazione, una deontologia e un’etica che ci distingue da chi si autodefinisce operatore dell’informazione senza alcuna competenza.
Non basta solo alzare la voce contro chi ci vuole cani da compagnia della Politica. Non basta scendere in piazza a reclamare i nostri diritti. Per essere credibili e affidabili e avere il rispetto per la nostra professione dobbiamo fare bene il nostro lavoro e non sottostare alle regole di mercato che vogliono “vendibile” una Patrizia D’Addario.
In questo momento così buio per il nostro Paese dobbiamo essere noi i primi a ridare la dignità al lavoro del giornalista con una profonda e onesta autocritica. Dobbiamo riguadagnarci la fiducia dei cittadini.
Chiedo a tutti voi colleghi, soprattutto a quelli con una posizione più importante della mia, di essere compatti e solidali e di non piegare mai la schiena. Di non considerare una notizia bucata la mancata intervista a un personaggio come la D’Addario e di essere anche l’unica voce fuori dal coro, se è necessario a dimostrare che siamo una categoria seria. Vi chiedo di ridare onorabilità all’informazione che è l’unica arma a nostra disposizione per difendere la libertà.
Debora Aru