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sabato 24 gennaio 2009

Prima regola: i fatti separati dalle opinioni.

Una leggera riflessione sulla puntata di Annozero di Michele Santoro, di due settimane fa, dal titolo “La guerra dei bambini”. Abbiamo visto una Lucia Annunziata lasciare furibonda lo studio per protesta perché «c’è soltanto la versione palestinese».

Abbiamo sentito un Fini che esprimendo la sua solidarietà con l’Annunziata dichiarava: «La trasmissione di Santoro ha superato il livello di decenza».

Ora al di là dell’appoggiare la causa palestinese piuttosto che quella ebrea o viceversa, io mi soffermerei di più su una cosa fondamentale: IL FATTO.

Il fatto che Santoro ha voluto approfondire è quello dei bambini palestinesi vittime degli attacchi israeliani.

Ha, a questo scopo, intervistato testimoni, confezionato servizi provenienti da Gaza, con immagini che poco lasciavano all’interpretazioni e che certo fornivano una rappresentazione di Israele non proprio edificante.

Però Santoro ha solo rappresentato un fatto non ha detto che quella fosse la verità assoluta, non ha demonizzato Israele, ha solo scelto di approfondire un aspetto di quella infinita guerra.

E perché la descrizione di un fatto deve scatenare reazioni di questo tipo?

Antonello Tomanelli, avvocato del foro di Bologna curatore del sito di informazione giuridica Difesa dell’informazione ci fornisce una risposta che io trovo estremamente interessante.

Tomanelli parla del concetto di par condicio di quanto essa si sia ormai insinuata nella nostra informazione. Caratteristica della comunicazione politica è l’esprimersi attraverso meri “punti di vista”.

Un fenomeno, quello della comunicazione politica, evidentemente opposto al concetto di informazione, che è generata dal giornalista ed ha ad oggetto non punti di vista bensì “fatti”. E il dovere deontologico di verità cui è vincolato il giornalista lo caratterizza rispetto al politico, che invece è libero di mentire. È evidente che ormai il concetto di par condicio si applica ampiamente anche all’informazione. In sostanza al giornalista conduttore viene impedita l’autonoma rappresentazione del “fatto”. Ciò che arriva al telespettatore, invece, sono le diverse interpretazioni che del fatto forniscono le parti, che non solo possono, ma in molti casi hanno tutto l’interesse a mentire. Si dice sempre che bisogna garantire il “contraddittorio”. Nell’affrontare una questione delicatissima, Santoro si è permesso di relazionare direttamente il telespettatore al “fatto”, rifiutandosi di darne una rappresentazione mediata dalle opposte visioni che di esso, in omaggio alla par condicio.

Ma le accuse a Santoro lasciano interdetti soprattutto se si considera la puntata di “Porta a Porta” del 12 gennaio, andata in onda solo tre giorni prima e dedicata ai 90 anni di Giulio Andreotti.

Quando si è trattata la questione relativa al processo subìto da Andreotti per concorso esterno in associazione mafiosa (il “fatto”), logica giornalistica avrebbe voluto che quell’approfondimento venisse condotto con l’ausilio di soggetti non solo in rapporto diretto con quel fatto, ma anche (e soprattutto) attendibili.

Ebbene, in studio, a parlare di quel processo (oltre a Pisanu, Cossiga e Macaluso, per ovvi motivi lontani dal “fatto”) vi erano lo stesso Andreotti e l’on. Giulia Bongiorno, l’avvocato che lo difese. Soggetti che hanno avuto sì un rapporto diretto con il “fatto”, ma che hanno tutto l’interesse a mentire.

Infatti, è accaduto quello che ogni persona di buon senso si sarebbe

aspettato: una clamorosa distorsione dei fatti, unicamente tesa a fugare ogni dubbio sull’onestà del senatore a vita.

Domanda: chi è che supera i limiti di decenza?

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