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mercoledì 8 aprile 2009

Tragedie e sciacallaggi 2.0: siamo uomini o giornalisti?

Mi ero ripromessa di non fare mai copia/incolla di articoli altrui su questo Blog. Ma questo pezzo dell'amico Alessandro, merita davvero di essere letto.
Grandissimo Ale
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Da Giornalettismo.com

di Alessandro D'Amato (Gregorj)
postato alle 09:31 del 8 aprile 2009 in Rassegna stampa


I fatti: il Corriere della Sera, in occasione del terremoto in Abruzzo, chiede ai lettori di inviargli foto e contributi dalle zone colpite dal disastro. Il motivo sembra nobile: “Le forme di citizen journalism sono ormai diffuse in tutti i principali siti di informazione del mondo, dalla Bbc (gli attentati nella metropolitana di Londra) al Nyt (la nevicata su New York). E’ una opportunità per dialogare con i propri lettori, per dare modo ai protagonisti degli eventi di contribuire all’informazione del proprio giornale“.













Se non che, accade l’irreparabile: qualcuno decide di inviare al giornale una foto che si riferisce a un terremoto accaduto in Cina per vedere se a via Solferino 2.0 sono talmente fessi da cascarci. Ovviamente, sono talmente fessi da cascarci. E quando la cosa diventa pubblica, ecco che il quotidiano affida la propria pubblica difesa a Marco Pratellesi, il quale, con un pistolotto degno di miglior causa (e scrivendo, alla napoletana, “jUornalism” invece che journalism nelle tag del pezzo), si difende così: “Alcuni di voi si saranno accorti che dopo qualche ora abbiamo tolto la possibilità di inviare le foto.
E’ successo che qualcuno si è divertito (ma cosa c’è di divertente in una tragedia con tanti morti!) a inviarci una foto del terremoto in Turchia. Noi l’abbiamo pubblicata. Non siamo stati così smaliziati da pensare che qualcuno potesse avere interesse a svenderci una foto di macerie per un’altra. Non abbiamo verificato e ce ne scusiamo. Ma come si potevano verificare delle macerie? Ora noi abbiamo sbagliato a pubblicare la foto. Però il giornalismo partecipativo, che la rete tanto promuove e che noi proviamo ad applicare, è fatto anche dalla serietà e dall’impegno dei lettori. Se vogliamo migliorare la qualità dell’informazione in Italia dobbiamo impegnarci tutti, noi giornalisti e voi lettori“. A difendere le ragioni del più forte, as usual, interviene anche Massimo Mantellini: “Personalmente credo che Marco abbia fatto male a parlarne così estesamente, per conto mio non si deve fare troppa pubblicità agli imbecilli, non vale la pena discuterci, l’unica cosa da fare è ignorarli. [...] le motivazioni del gesto rivoluzionario di prendere per il naso la casta dei giornalisti sia semplicemente una cosa flebile e scema. Giocata per di più sul dolore di tante persone“.

Diciamocela tutta: una presa di posizione e un linguaggio del genere, da Mantellini, dovevamo aspettarceli. Essendo un classico esempio di coniglio mannaro, il suo blog è pieno di prese di posizione generiche contro “i media tradizionali“, che di solito sono seguite da sperticati elogi alle persone in carne ed ossa che in quei media si ritrovano ad avere posizioni decisionali: d’altronde, anche i blogger tengono famiglia. E si sa, criticare genericamente “il sistema” è facile; dare addosso a chi potrebbe rimediarti prima o poi una consulenza è invece cosa da “only the brave“. Quello che stupisce è invece l’argomentazione “difensiva” del Corriere. Come in occasione della morte di Marge Simpson qui inscenata qualche tempo fa, è davvero incredibile che qualcuno giustifichi la propria debbanaggine incolpando gli altri di averla sfruttata. Non c’è alcun bisogno di difendere l’autore dello scherzo (lo fa benissimo da sé), ma è assolutamente necessario far notare che lo sciacallo non è chi sfotte, ma chi crede che permettere ai propri lettori di partecipare a un evento consista nel regalare loro così il classico quarto d’ora di celebrità di wahroliana memoria. Ridicolo: un comportamento del genere è invece la perfetta versione 2.0 del giornalista che va dalla persona che ha appena perso un figlio nel terremoto per chiedergli come sta e se vuole lanciare un messaggio alla nazione. Pornografia applicata dopo aver malamente introiettato un paio di libri di 120 pagine editi da professori di Scienze della Comunicazione. Brunovespismo militante, e anche inutile, visto che, se proprio il Corriere avesse inteso far partecipare l’uomo della strada all’elaborazione del lutto per il terremoto in Abruzzo, avrebbe potuto benissimo mandare uno dei suoi giornalisti a cercare su Flickr o su Picasa foto e testimonianze, evitando così di incappare nella burla di un buontempone, invece di fare accattonaggio virtuale chiedendo ai lettori di inviare foto. Purtroppo, il coraggio uno non se lo può dare. E, se non può darsi quello, figuriamoci la voglia di mettersi a cercare - e impegnarsi, quindi: una cosa che dovrebbe fare chi è pagato per svolgere la professione di giornalista - e verificare che quanto inviato corrisponde a verità. Ma questo, diciamolo, sarebbe stato troppa fatica: meglio prendersela con il destino cinico e baro, e con chi “specula sulle tragedie”. Infatti, al Corriere pensano che si possa solo speculare sui lettori.

Ora, dice Wikipedia che fare del citizen journalism vuole dire “playing an active role in the process of collecting, reporting, analyzing and disseminating news and information“. Traducendo la retorica in fatti, questo vuole dire che il Corriere farebbe del citizen journalism se pubblicasse, ad esempio, il contributo di un lettore che racconta con fatti veri e verificabili il comportamento scorretto o comunque eticamente criticabile di un’azienda. Ma questo non accadrà mai, visto che a via Solferino hanno dedicato appena cinque righe alla protesta in piazza degli operai di un’impresa che ha deciso di spostare i suoi stabilimenti fuori dall’Italia, e l’ha fatto perché questa azienda è fra i suoi azionisti di riferimento. Invece di fare il predicozzo a chi li percula, al Corriere dovrebbero chiedersi se chi si comporta così è un uomo o un giornalista. Diceva il vecchio Habermas che “la sfera pubblica è diventata ormai la corte in cui si dispiega il prestigio, e non è più, invece, il luogo in cui si manifesta la critica“. Ecco, non si capisce mica perché quando a corte si presenta il bambino per urlare il classico “Il re è nudo!”, bisognerebbe prendersela con il pupo invece che con il regnante. Invece di indignarsi per una presa in giro, il Corriere poteva utilizzare meglio la sua autorevolezza. Ad esempio, facendo scrivere a uno dei suoi strapagati editorialisti quello che invece ci tocca leggere sul blog di Retore: “Perché non spendere almeno una parte dei soldi destinati alle famose grandi opere per mettere in sicurezza (cosa tecnicamente possibile) almeno gli edifici pubblici fondamentali in tutte le zone ad alto rischio sismico costruiti prima che le regole costruttive antisismiche diventassero obbligatorie, onde evitare spettacoli terzomondiali come l’inagibilità dell’ospedale de L’aquila, che è quasi crollato dopo un terremoto di circo il 6° grado della scala Richter, potenza sismica in astratto tutt’ altro che catastrofica per l’epoca attuale e che in Giappone o in California avrebbe causato solo lievissimi danni?“. Questo, semmai, è ciò che dovrebbe dire un media serio. Il resto è demagogia: piccola, squallida, futile demagogia.

(vignetta di Mauro Biani)

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