Lo so, giorni e giorni di silenzio, ma ho un bel po' da fare. Prometto che recupererò presto. Per ora, vi vorrei inviatere tutti alla presentazione di "Qualcuno era comunista", l'ultimo libro di Luca Telese, giornalista e conduttore di Tetris, La trasmissione in onda su La7.
L'appuntamento è per sabato 27 giugno, alle 18:00 presso la sede INPDAP in Piazza Roma ad Oristano (davanti ai parcheggi dei Taxi).
«Qualcuno era comunista perché era nato in Emilia. Qualcuno era comunista perché il padre, lo zio, il nonno...la mamma no! Qualcuno era comunista perché vedeva la Russia come una promessa, la Cina come una poesia, il comunismo come il Paradiso Terrestre». Iniziava così il monologo che il compianto Giorgio Gaber scrisse insieme con Sandro Luporini quasi 20 anni fa. Ed è da qui che il giornalista, scrittore e conduttore televisivo Luca Telese parte per il suo nuovo libro, dal titolo, appunto "Qualcuno era comunista".
Telese nel suo incalzante volume, ci racconta come i comunisti italiani siano diventati ex e post. Ci racconta, con ricchezza di dettagli, come il PCI abbia vissuto quell’era di cambiamenti iniziati con la caduta del muro di Berlino, il 9 novembre 1989, e continuata, pochi giorni più tardi, col discorso che il segretario, Achille Occhetto, pronuncia durante quella che venne definita da tutti “La svolta della Bolognina”. Discorso quello, destinato a cambiare per sempre la politica italiana, l’atto iniziale della fine del più importante partito comunista d’Occidente. Nei quindici mesi successivi, fino al congresso conclusivo di Rimini del 1991, la dissoluzione del grande partito di massa si trasformerà in una vicenda intricata e piena di colpi di scena, che assumerà via via, toni epici, tragici, a tratti farseschi.
Qualcuno era comunista, racconta proprio questa storia, e i suoi primattori: Occhetto, il leader neoromantico, arruffato ed emotivo, il suo alterego, il gelido D’Alema, oppure Pietro Ingrao, il visionario che voleva la luna o il granitico Napoletano. Ma racconta anche come la “svolta” sia alla fine una vicenda di popolo,del meccanico di Berlinguer, o del compagno che rubò il ritratto di Stalin, o dell’interprete che traduceva i discorsi berlingueriani ber il Cremlino.
Un terremoto, come dice lo stesso autore, che ha lasciato in eredità una sinistra senza identità, incapace di vincere, una classe dirigente bloccata dagli stessi ex quarantenni che pretendevano il ricambio generazionale, un partito che ha mutato nome quattro volte senza mai cambiare facce. Forse perché, ancora oggi, su tutti i reduci di quella vicenda pesa, come una maledizione, il marchio della Bolognina, che li ha resi “post” o “ex” comunisti, senza mai riuscire a trasformarli in qualcosa di nuovo.
Luca Telese, classe 1970, è diventato giovane comunista nel 1984. Ci racconta “ sono nato a Cagliari, nel mitico anno dello scudetto, ma sono cresciuto a Roma, cuore giallo-rossoblu. Mia madre è sarda anche se è nata a Brescia, mio padre è di Torre Annunziata, anche se è fuggito a Roma e cancellato le sue tracce di accento, io sono romano anche se nato nell’Isola.
Ho iniziato a fare il giornalista a “Il Messaggero”, nel 1989, ho fatto tutto quello che si può fare di precario nel mondo della comunicazione: dalla stampa di t-shirt, all’ufficio stampa (grande palestra), dalle agenzie (la Dire) alle collaborazioni a singhiozzo con le redazioni più scalcagnate – anni indimenticabili – fino a quelle più blasonate (da “Cominform” a “Il Foglio”, a “Panorama”, passando per “Capital” e “GQ”). Tendenzialmente scrivo di politica, spettacoli e varia umanità. Il primo che mi ha assunto come giornalista è stato Pietrangelo Buttafuoco quando era direttore de “Italia Settimanale” (per la cronaca, il periodico chiuse dopo soli quattro mesi). Dal 1996 al 1998 lavoro da free lance per “Sette”, l’inserto del giovedì del Corriere della sera, con Andrea Monti prima e Maria Luisa Agnese poi. Nel 1998 mi assumono, naturalmente a termine, a “Il Corriere della Sera” (al politico, nella redazione di Milano). Dal 1999 sono a “Il Giornale”, chiamato da Maurizio Belpietro: oggi ho persino una qualifica: “redattore parlamentare”. Dal 2004 collaboro con “Vanity Fair” e, dallo scorso ottobre, con “Panorama”.
I primi passi nel fatato mondo della televisione, li ho mossi in una casereccia tv privata, “Teleambiente”, in cui potevo sbagliare tutto e imparare moltissimo: la tv era a Monteporzio Catone, a trenta chilometri da Roma, e ci andavo direttamente dalla Camera, in Vespa per montare i pezzi (ancora oggi mi chiedo come abbia potuto farlo, anche sotto i nubifragi per due anni). Poi ho fatto l’autore di “Chiambretti c’è” ( Rai Due, solo la prima edizione), “L’Alieno” (Italia uno), “Batti & ribatti” (Rai Uno), “Cronache Marziane” (Italia uno, solo la prima edizione) e nel 2006 ho condotto “Omnibus estate” (La7). Sono stato poi autore e conduttore di “Parenti Serpenti” e “Planet 430″ (su Planet, 2004 e 2005), e “Tetris” (su Raisat extra, 2006 e su La7, 2007). La banda di Tetris è cresciuta tutta insieme, all’insegna del “Surreality”: a furia di dire che volevamo fare proprio quello, ci siamo persino inventati un genere. Dopo un rocambolesco e memorabile risultato di ascolto (3.80 % di share medio su dieci puntate) la Sette si è miracolosamente decisa a farci fare una terza serie. Io sull’Auditel ho una mia teoria: non esiste. O meglio: non c’è più nulla di scientifico, sopratutto nei campioni piccoli. C’è però un omino addetto ad ogni programma, che disegna gli ascolti come si può dipingere un quadro, modulando la curva sui suoi gusti. Mi sono convinto che l’omino auditel di Tetris è un signore di una certa età, di buone letture, colto e simpatico, che ha deciso di regalarci qualcosa: spero vivamente che non lo mandino in pensione.
Ho scritto tre libri: “La lunga Marcia di Sergio Cofferati” (Sperling & Kupfer 2003), “Lula! Storia dell’uomo che vuole cambiare il Brasile e il mondo” (con Oliviero Dottorini – Castelvecchi 2003) e “Cuori neri” (Sperling & Kupfer 2006). Sempre per la Sperling curo una collana a cui tengo molto, “Le radici del presente”, che si occupa di raccontare il passato prossimo dell’Italia, quello che per i giornali è vecchio, per i libri di storia è prematuro e per noi è interessante. In uno dei volumi, “Vite ribelli” (2007), ho pubblicato un racconto lungo sul terremoto di San Giuliano che considero una delle esperienze giornalisticamente più formative della mia vita. In una raccolta della Cairo Editore, “Ti amo ti ammazzo”, ho raccontato, a modo mio, la storia de “La Marchesa a luci rosse” (Anna Casati Stampa, ovviamente) uno di quei delitti che superano di gran lunga l’immaginazione. In un’altra antologia “Invito alla festa con delitto” (2004) è pubblicato “L’Uomo che voleva uccidere Palmiro T.”, il racconto più narrativo in cui mi sia mai cimentato.
Daiii!
RispondiEliminaForse ce la faccio ad esserci! ^_____^
'Noteee!
Ficooooooooooooooo....ti aspetto rosa!!! Mi raccomandooooooo ;)
RispondiEliminaE' stata davvero una bella esperienza!
RispondiEliminaMi è molto piaciuta tutta la serata, comrpeso l'intervento di quel signore che ha recitato Gaber... è un attore vero? ^___^
comunque davvero, sono io che devo ringraziare te per avermi invitato!
Un bacione!