giovedì 2 luglio 2009
Si stringe la morsa: Dopo la Levi-Prodi, l'emendamento D'Alia e il DDL intercettazioni un altro tentativo di imbavagliare la rete.
Carolina Lussana, deputato della Lega Nord, ha presentato una proposta di legge che regola le nuove disposizioni per la tutela del diritto all’oblio su internet in favore delle persone già sottoposte a indagini o imputate in un processo penale. Il 23 giugno il disegno è passato all’esame della 2° Commissione Giustizia.
«La presente proposta di legge –si legge nel documento- è finalizzata a riconoscere ai cittadini, già sottoposti a processo penale, il cosiddetto “diritto all’oblio” su internet, cioè la garanzia che decorso un certo lasso temporale, le informazioni (immagini e dati) riguardanti i propri trascorsi giudiziari non siano più direttamente attingibili da chiunque».
Nel “mondo reale” un organo di informazione tratta di un caso d’attualità, lo approfondisce e, una volta esaurito, lo ripone passando oltre. L’opinione pubblica è stata portata a conoscenza di quel fatto, la stampa ha svolto il proprio ruolo di informatore e così si chiude il cerchio per riaprirlo da un’altra parte. Nel momento in cui, per qualche motivo, si dovesse ripresentare un fatto che richiami quello precedente, il ruolo della stampa è quello di ricordare cos’è successo in passato, le informazioni, se serve, le ripropongono, non come notizia ma come corollario. Infatti, se viene ripresentato un vecchio fatto all’opinione pubblica, elevandolo al rango di notizia (quindi un’informazione che rende noto un avvenimento accaduto di recente), il diritto all’oblio ha profonda ragione d’esistere.
Ma internet è differente dal “mondo reale”. Sul web le informazioni arrivano da chiunque, sono multidirezionali, interconnesse e si completano a vicenda. Applicare una norma che presupponga delle basi che in questo ambiente non esistono perde di significato.
Come nota la leghista «spesso, anche a distanza di anni da una sentenza penale, molte informazioni presenti su pagine internet (mai aggiornate o rimosse) continuano a proiettare un'immagine cristallizzata di una determinata vicenda giudiziaria, senza riflettere - il più delle volte - l'attuale modo d'essere del soggetto coinvolto, il quale può aver saldato definitivamente il suo conto con la giustizia ed essere completamente risocializzato». Vero certo, ma a corredo delle pagine ”mai aggiornate o rimosse” sono presenti, inevitabilmente, quelle che parlano degli sviluppi della vicenda e della loro conclusione. È dunque possibile ottenere una cronologia completa.
La stessa Lussana afferma che «prima della nascita di internet, l’eco delle vicende giudiziarie di una persona imputata in un processo penale finiva per esaurirsi in tempi accettabili, finché non si fosse spento nella stampa locale e nazionale l’interesse per quel determinato fatto di cronaca». Tutto ciò però presuppone la trasmissione di notizie in modo unidirezionale, dalla stampa all’opinione pubblica.
La deputata non ha considerato la caratteristica fondamentale del web: il ruolo attivo degli utenti. Non riconosce infatti l’acquisizione attiva di un fatto attraverso una ricerca sui motori della rete.
E’ anche vero che se un condannato, sconta la sua pena è giusto che venga riabilitato e non venga ricordato per quello che ha commesso. Infatti ad una prima lettura sembrerebbe che la proposta salvaguardi innanzitutto il cittadino. Però poi approfondendo vediamo che, ad esempio l’Art. 3, comma 3°, lettera c «la legge non si applica a chi esercita o ha esercitato alte cariche pubbliche, anche elettive, in caso di condanna per reati commessi nell'esercizio delle proprie funzioni, allorché sussista un meritevole interesse pubblico alla conoscenza dei fatti». Eccolo lì. Notare “nell’esercizio delle proprie funzioni”. Dunque, in casi come ad esempio il recente processo Mills, le informazioni potranno rimanere in rete per due soli anni poi via, tutto cancellato perché il reato di corruzione non è stato compiuto “nell’esercizio delle proprie funzioni”.
La proposta della Lussana chiarisce che la legge non è applicabile a chi è stato condannato all’ergastolo, per genocidio, terrorismo internazionale o strage e, all’Art. 1, stabilisce i termini di permanenza su internet in base alla condanna: tre anni dalla sentenza per una contravvenzione, cinque da quella che sancisce una pena inferiore a cinque anni di reclusione; dieci per un delitto con una condanna superiore a cinque anni. Quindici anni di permanenza invece, dalla sentenza irrevocabile di condanna superiore a dieci anni di reclusione e venticinque anni se la pena inflitta è superiore a venti anni.
Quindi è probabile che ci ritroveremo pieni di notizie di omicidi, furti, aggressioni, violenze, ma non dei reati dei colletti bianchi, che spesso finiscono in prescrizione, o in patteggiamenti o comunque non superano i dieci anni di condanna. Questo tentativo, come anche i precedenti (vedi la legge Levi-Prodi, l’emendamento D’Alia, o il DDL intercettazioni) sottolinea la totale ignoranza della classe politica nei confronti di internet e del suo funzionamento. Mostra come la nostra casta reputi il web e gli internauti alla stregua del mondo reale dove la collettività recepisce passivamente le notizie fornite dalla stampa, ma soprattutto rivela il timore che i politici, tutti, nutrono nei suoi confronti.
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